Stando alla sentenza, qui la farmacia – almeno in principio – deve spostarsi a non meno di 200 m.
Questo è sempre stato del resto, generalmente, l’orientamento del Consiglio di Stato che in quasi tutte le circostanze congeneri (a nostra memoria, solo in una o due occasioni ha detto diversamente, ma si trattava di una o due fattispecie molto particolari) ha infatti affermato che, nell’ipotesi di spostamento di un esercizio all’interno della sede, la distanza da rispettare è quella minima di 200 m., anche quando, dunque, al momento della presentazione dell’istanza di autorizzazione al trasferimento il locale sia ubicato a una distanza inferiore.
E questo è stato il dictum centrale del Consiglio di Stato anche in tale vicenda.
Nella decisione, tuttavia, si rileva anche – a parte le bacchettate che il CdS riserva alla Asl (per aver fatto le cose sommariamente, frettolosamente e con approssimazione) – che lo spostamento potrebbe nella fattispecie specifica (nonostante quel “dictum”) essere autorizzato anche a una distanza inferiore a 200 m., purché superiore a quella odierna.
Questo però – come precisa successivamente il Supremo Consesso (che già altre volte ha comunque riservato, in casi del genere, un qualche residuo spazio alla discrezionalità della p.a.) – soltanto laddove, da un’ulteriore istruttoria, emergano motivi che impediscano oggettivamente il rispetto del limite legale.
In definitiva, la Asl potrebbe tuttora – ripetiamo, nonostante la sentenza – autorizzare il trasferimento a una distanza inferiore, ma dovrebbe fare le cose così bene e in termini talmente non equivoci da sottrarsi senza margini di incertezza a un’eventuale azione di responsabilità promossa dal titolare della farmacia più vicina.
Sono quindi scelte amministrative molto delicate da assumere e occorre grande cautela prima di addentrarci in un groviglio inestricabile da cui poi sia difficile uscire.
(gustavo bacigalupo)