Il tema è decisamente tecnico, anzi molto tecnico, e perciò si rende necessaria una certa dose di semplificazione nel fornire la risposta.
Contrariamente, tuttavia, a quel che vale per le farmacie [per le ragioni che diremo tra poco], le c.d. para-farmacie non possono essere valutate con un metodo quale, ad esempio, quello c.d. dei multipli, che esprime il valore delle aziende in argomento in funzione per l’appunto di un multiplo di una grandezza economico-gestionale di riferimento quale i ricavi o, come di recente sta avvenendo, l’EBITDA, vale a dire, sostanzialmente, l’utile d’esercizio al lordo della gestione finanziaria e degli ammortamenti, e dunque del valore di sostituzione degli investimenti di beni strumentali (materiali e immateriali) in corso.
Questo perché, a differenza proprio delle farmacie, le para-farmacie non presentano - nella gran parte dei casi - un avviamento, inteso quest’ultimo come quell’attitudine dell’azienda [non attribuibile ad alcuno specifico asset patrimoniale ma a elementi intangibili e di difficile valutazione economica quali la rete clientelare, la posizione sul mercato, l’abilità commerciale, ecc.] a generare l’extra-profitto, cioè il rendimento differenziale rispetto a quello garantito dal medesimo investimento in attività risk free [ordinariamente, titoli obbligazionari a basso profilo di rischio].
Il regime di contingentamento numerico territoriale che notoriamente caratterizza l’assetto del servizio farmaceutico, infatti, garantisce un bacino d’utenza teorico minimale, tale da attribuire loro con ragionevole certezza, nella pressoché totalità dei casi, un avviamento positivo, esprimibile in forma di multiplo delle grandezze economico-gestionali appena ricordate, che altro non è che l’espressione di attendibili quotazioni di mercato riferite al contesto spazio-temporale di riferimento della farmacia in vendita.
La parafarmacia, invece, diversamente dalla sua sorella maggiore, è un’attività completamente liberalizzata, cosicché nulla vieta - per fare un esempio concreto - che all’indomani dell’acquisto un concorrente apra un altro esercizio al di là della strada, sviando completamente la clientela appena acquisita e dissolvendo nel nulla l’investimento appena realizzato.
Non può escludersi, naturalmente, che vi siano condizioni specifiche e particolari da consentire a un dato esercizio l’attribuzione di un avviamento positivo - pensiamo ad esempio alla concreta indisponibilità nelle vicinanze di locali idonei all’apertura di un punto vendita concorrente - ma si tratta di eccezioni da verificare con cura e caso per caso.
Ecco allora che la valutazione di una para-farmacia si rivela effettivamente un’attività abbastanza complessa, perfino ancor più – forse - di quella riguardante una farmacia.
Bisogna quindi affidarsi necessariamente a metodi di valutazione che ricavino il valore di vendita tramite l’attualizzazione in un arco di tempo ragionevole - normalmente non oltre i cinque anni - dei flussi di grandezze economico-finanziarie future [normalmente ricavi o incassi] tramite un tasso che sconti adeguatamente il rischio d’impresa estremamente elevato per le ragioni che abbiamo appena descritto.
Questi metodi sono detti indiretti, perché ricostruiscono il valore non sulla base della diretta osservazione del mercato di riferimento, come quello dei multipli, ma indirettamente, cioè in funzione dei risultati economico- finanziari dell’attività in una prospettiva storica, guardando esattamente a quel che è accaduto nell’immediato passato.
Ai metodi reddituali vengono affiancati anche metodi patrimoniali e in particolare metodi che appartengono bensì anch’essi alla famiglia di quelli indiretti, ma che utilizzano in luogo delle grandezze reddituali [grandezze flusso] quelle patrimoniali [grandezze stock], avendo quindi riguardo ai vari assets aziendali tra cui anche le rimanenze finali, naturalmente.
In estrema sintesi, per questi metodi il valore dell’azienda - nel nostro caso la parafarmacia - è espresso in funzione del valore del suo patrimonio nell’accezione di valore di ricostruzione dello stesso nella prospettiva della continuità aziendale: in pratica, l’investimento netto che sarebbe necessario per avviare una nuova impresa con una struttura patrimoniale identica a quella oggetto di valutazione.
Inoltre, i due metodi - reddituale e patrimoniale - si usano spesso simultaneamente, soprattutto per rendere un quadro quanto più completo e affidabile della stima dell’azienda di riferimento: i metodi reddituali tendono infatti a trascurare la valutazione della consistenza patrimoniale mentre quelli patrimoniali non pongono evidentemente l’accento sulla redditività futura dell’impresa.
Ma forse ora è meglio fermarsi qui.
(stefano civitareale)