Gentile Dottore,
ben trovato.
Le devo preliminarmente indicare che il Suo quesito presenta rilievi di vera e propria consulenza che vanno oltre i contenuti della presente rubrica.
Ad ogni modo, volendoLe fornire comunque degli elementi che potrà valutare in sede di consulenza, Le delineo i seguenti aspetti principali presenti nel quesito sottoposto.
Prescindendo dalla ipotesi del c.d. giustificato motivo soggettivo di licenziamento di natura disciplinare, sulla cui sussistenza dei presupposti nulla si indica nella Sua domanda, si potrebbe in via generale addivenire ad un licenziamento individuale in caso di soppressione della mansione alla quale il lavoratore era adibito determinata da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa, con correlata impossibilità di utilizzo in altre aree aziendali : anche in questo caso, però, i dati a disposizione non consentono di propendere per tale soluzione.
In caso di riduzione del personale per riduzione di fatturato, il datore di lavoro per procedere ad un licenziamento individuale dovrà rispettare i cc.dd. principi di correttezza e buona fede dettati dall’art. 5 della Legge 223 del 1991, che prevedono di aver riguardo, in concorso tra loro, a : 1) anzianità di servizio, 2) carichi di famiglia 3) esigenze tecnico-produttive e organizzative.
Sulla questione dei presupposti economici che giustificano il licenziamento, non Le posso non citare una recentissima e discussa sentenza della Corte di Cassazione, La Nr 25201 del 7 Dicembre 2016, che è stata commentata come la pronuncia che ha ammesso la possibilità del licenziamento c.d. per “profitto”. Circa la capacità di attecchimento della conclusione del giudice di merito non è possibile pronunciarsi, anche se va sottolineato come in quel caso si sia trattato di un ampliamento del campo di applicazione del licenziamento per c.d. giustificato motivo oggettivo collegato non al caso straordinario di una situazione economica non positiva ma ad un caso ordinario di scelta di riduzione di personale allo scopo di perseguire un aumento della redditività aziendale.
Venendo infine al caso della lavoratrice apprendista, occorre segnalare in prima battuta che si tratti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con possibilità di recesso ex art. 2118 c.c. al termine del periodo formativo.
Per tale contratto è prevista in via generale la sua sospensione in tutti i casi di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del lavoro per una durata superiore a 30 giorni. In caso di gravidanza e puerperio (e fino al compimento dell’anno di età del bambino) che avvengano a periodo formativo non concluso nulla quaestio : l’apprendistato si “congela” riprendendo dopo la sospensione fino alla durata preliminarmente prevista (es.36 mesi), alla fine della quale il datore di lavoro potrà comunicare il recesso.
Maggiori dubbi sono stati sollevati per il caso di gravidanza che si verifichi alla fine del periodo formativo : in tal caso dovrebbe ritenersi che il recesso possa essere esercitato al termine del periodo di divieto di licenziamento (anno di età del bambino).
Ad ogni modo la lavoratrice potrà accedere all’indennità di maternità pari all’80% della retribuzione spettante e a carico dell’INPS. Ciò che potrebbe attenuare, medio tempore le esigenze della Sua azienda di riduzione del costo del lavoro.
Gentile Dottore, restando a Sua disposizione per chiarimenti ulteriori, confido di averLe fornito molti elementi di ragionamento e di riflessione, augurandoLe un meraviglioso proseguimento per la Sua attività e la Sua azienda..
Cordiali saluti
Silvia Di Domenico
Dottore Commercialista
Revisore Legale