Acquisto farmaci Fascia A e sconto: quale norma li regolamenta?

Acquisto farmaci Fascia A e sconto: quale norma li regolamenta?

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Tenute presenti le norme regolamentanti le quote di spettanza di tutta la filiera chiedo quale è la norma a livello amministrativo-contabile che regola la possibilità in acquisto di farmaci di Fascia A, da parte di un distributore farmaceutico da un fornitore, sia esso altro distributore che azienda in possesso della 219, di ricevere delle fatture con prezzo di cessione netto Iva e sconto netto Iva maggiore di quello stabilito dal dl 122/2010 e successive modificazioni.

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Domanda del 25 Luglio 2022
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Domanda Privata

Dunque, scendendo nella disamina, le percentuali determinate dall’art. 11, comma 6, del D.L. 31/05/2010 n. 78, convertito con modificazioni, nella L. 30/07/2010 n. 122 devono intendersi come quote liberamente derogabili per effetto della libera contrattazione tra gli attori della filiera, con l’unica eccezione delle farmacie, per le quali la rispettiva quota fissata al 30,35% dalla disposizione appena citata “deve intendersi come quota minima a questi spettante”.

A questa conclusione aderisce non soltanto l’interpretazione letterale della norma che dopo aver fatto uso della forma plurale per delineare la fattispecie [“le quote di spettanza dei grossisti e dei farmacisti sul prezzo di vendita al pubblico delle specialità medicinali di classe A […],previste nella misura rispettivamente del 6,65 per cento e del 26,7 per cento […] sono rideterminate nella misura del 3 per cento per i grossisti e del 30,35 per cento per i farmacisti] volgendo alla forma singolare nell’ultimo inciso [per l’appunto “deve intendersi come quota minima a questi spettante”] non può che riferire il contenuto dello stesso [la “quota”, per l’appunto, da intendersi come “minima” ] ad una soltanto delle categorie prima citate e precisamente – per l’uso del pronome “questi” [1] - alla ultima di esse in ordine di citazione, e cioè i farmacisti.

Tale interpretazione del resto è confermata dalla comunicazione dell’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato [AS523 – Sistema di remunerazione della distribuzione di farmaci erogati a carico del Servizio sanitario locale – Bollettino n. 18 del 25/05/2009].

Nel documento richiamato – che peraltro era finalizzato ad esprimere la preoccupazione del Garante per l’inadeguatezza del sistema di remunerazione della distribuzione dei farmaci erogati a carico del SSN, al fine di un effettivo incremento dell’impiego dei farmaci generici, nel perseguimento dell’obiettivo del miglioramento della spesa sanitaria pubblica e privata – il Garante afferma testualmente che “[u]n elemento di ulteriore problematicità nel funzionamento dell’attuale normativa volta a regolare la remunerazione della componente distributiva del settore risiede nel carattere sostanzialmente non vincolante delle percentuali di margine fissate, che vengono di fatto utilizzate solo quale valore di riferimento minimo nella contrattazione tra le parti. La definizione delle c.d. “quote di spettanza”, infatti, è stata introdotta con l’obiettivo di regolare, per i farmaci rimborsati dal SSN, il criterio di formazione del prezzo al pubblico, il quale viene definito, come si è visto, considerando fisse tali percentuali, e contrattando invece con i produttori il prezzo ex fabrica. Risulta invece dubbia l’idoneità della norma a incidere sui rapporti privatistici tra i soggetti attivi ai diversi stadi della filiera, imponendo, negli scambi effettivi che si realizzano tra gli operatori, la concreta applicazione del livello di sconto fissato. Ne consegue che, una volta assolta la propria funzione di punto di riferimento teorico per la definizione del prezzo finale, le percentuali di margine previste dalla legge non vengono necessariamente rispettate nei rapporti di scambio intercorrenti tra produttori e distributori, i quali negoziano i propri guadagni, e quindi la percentuale di sconto attribuita al distributore, in funzione del proprio potere contrattuale”.

Ma sul punto sembra proprio fugare ogni dubbio la Corte Costituzionale [Sentenza n. 295 del 13/11/2009] che, nell’esaminare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della Legge della Regione Puglia 02/07/2008 n. 19 - che poneva un divieto di modifica delle quote in discorso addirittura sanzionato penalmente con una assimilazione della violazione in discorso al reato di “comparaggio” - concludendo per la fondatezza della questione stessa esprime in termini assolutamente chiari ed univoci l’assenza di ogni divieto di derogabilità delle quote in discorso.

Afferma infatti la Corte che “L'art. 8 è impugnato per asserita violazione dell'art. 117, secondo comma, lettere e) e l), della Costituzione.

Determinando un effetto distorsivo nel settore della distribuzione dei farmaci, il divieto di modificare le quote di spettanza sul prezzo dei farmaci di fascia “A” lederebbe la competenza esclusiva del legislatore statale in tema di «tutela della concorrenza».

Il contestato divieto, incidendo sull'autonomia contrattuale dei privati, violerebbe anche la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «ordinamento civile»; al tempo stesso, il denunciato art. 8, sanzionando penalmente l'inosservanza del suddetto divieto in forza dei richiamati artt. 170 e 172 del regio decreto n. 1265 del 1934 [il riferimento è al reato di comparaggio – n.d.r.], avrebbe invaso la materia dell'«ordinamento penale», di competenza esclusiva del legislatore statale.

E ancora:
“3.2. – Le quote di spettanza sono fissate direttamente dal legislatore nazionale.
Una eventuale modifica delle stesse è implicitamente rimessa all'autonomia contrattuale dei soggetti del ciclo produttivo e distributivo attraverso convergenti manifestazioni di volontà [fatta sempre salva la quota dei farmacisti determinata come “minima spettante” dal citato D.L. 78/2010 emanato successivamente alla decisione – n.d.r.].

L'impugnata disposizione ha palesemente oltrepassato i confini che presidiano la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «ordinamento civile», avendo prescritto che «al di fuori degli accordi tra sistema sanitario regionale e sistema produttivo e distributivo dei farmaci» non sarebbe consentito «modificare, ancorché mediante intesa fra le parti, le quote di spettanza, previste per legge, alle componenti aziende, grossisti e farmacisti per l'erogazione di farmaci di fascia A».

L'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione ha codificato il limite del «diritto privato» consolidatosi nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (v., tra le molte, le sentenze n. 190 del 2001; n. 379 del 1994; n. 35 del 1992; n. 51 del 1990; n. 691 del 1988; n. 38 del 1977; n. 108 del 1975 e n. 7 del 1956). Questa Corte ha più volte affermato che «l'ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull'esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformità della disciplina dettata per i rapporti fra privati.

Esso, quindi, identifica un'area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione» (sentenza n. 352 del 2001)”.
In ogni caso, le considerazioni che precedono ci sembra valgono anche a chiarire il dubbio di quale sia la normativa, se esiste, che prevede quale debbano essere le quote di spettanza nelle transazioni dei medicinali di fascia A tra grossisti: sono cioè da ritenersi libere o esistono documenti (ad esempio pareri ministeriali, sentenze) che possano fornirci elementi al riguardo?

Ora, la norma che interessa è sempre quella citata che pone la quota di spettanza “di riferimento” per i grossisti al 3% indipendentemente dal numero delle transazioni che avvengono in questo stadio della filiera distributiva per lo stesso prodotto.

Intendiamo dire che, per come è delineato il sistema della remunerazione della distribuzione del farmaco, la percentuale in discorso è riferibile non al singolo grossista ma allo stadio intermedio della distribuzione in quanto tale e pertanto a tutti gli operatori che vi intervengono nel loro complesso.
Ed è quindi, inevitabilmente, dalla libera contrattazione – fatta sempre salva la quota minima per i farmacisti – che, nell’ipotesi in cui a questo stadio distributivo intervengano più distributori, dovrà emergere un margine più ampio di quello di riferimento [3%] per riconoscere un’adeguata remunerazione ad ognuno di essi.

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Pubblicato da Studio Bacigalupo Lucidi
Risposta del 25 Luglio 2022

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