Factoring grossista farmacia, in che modo appurare che applichino i giusti tassi di interesse?

Factoring grossista farmacia, in che modo appurare che applichino i giusti tassi di interesse?

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Si sta consolidando un pericoloso meccanismo.
Certi distributori smontano i factoring attuali, sostituendoli con analoghi factoring grossista farmacia nel quale però l’interesse di dilazione viene calcolato dal grossista stesso e messo in fattura. Il calcolo avviene su un tasso di interesse annuale calcolato dal CdA dell’azienda (es.: 4,5 annuo).
Invece, il tasso di factoring in questo momento varia da 2,6 a 2,9  annuo.
In tal modo il distributore lucra 1,2/1,6 punti come utile finanziario e in certi casi, leggendo il bilancio dell’azienda grossista, mi pare che questa “pratica” consenta a quest’ultima di chiudere l’esercizio in utile…
E’ una condotta corretta? Come difendersi? Può il distributore di farmaci sostituirsi in pratica ad un intermediatore finanziario? O l’unico vero rimedio è quello di non lavorare più con quel distributore?

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Domanda del 1 Marzo 2016
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Nota bene: La risposta a questo quesito è stata pubblicata più di 5 anni fa. Le informazioni contenute potrebbero essere obsolete

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Domanda Privata

Su questi argomenti regnano sovrane le regole di mercato.
In tutti (o quasi) i settori merceologici la dilazione di pagamento che il fornitore concede al proprio cliente ha un corrispondente onere, che può essere esplicitato sotto forma di addebito di interessi o implicitato sotto forma di minor sconto o margine, come spesso avviene nel mondo dei farmaci.
Il tasso di interesse del 4,5% annuo corrisponde a un onere di dilazione mensile dello 0,37%, tutto sommato neppure così caro!
Molti grossisti, anche di rilevanza internazionale, praticano frequentemente lo 0,5% mensile che ovviamente corrisponde niente di meno che a un 6% (e più) annuo, e infatti le cooperative di solito sono meno “esose”.
Naturalmente, le aziende lucrano su questa gestione finanziaria perché quasi sempre riescono a “pagare” il denaro meno di quanto lo “rivendono”; così facendo chiudono spesso in utile anche bilanci che, a livello di risultato operativo, evidenzierebbero una perdita.
Ma questa è una vecchia storia, nata nel mondo della grande distribuzione organizzata alcuni decenni fa, nell’epoca cioè in cui i tassi di interesse viaggiavano a due cifre: i supermercati e gli ipermercati abbassavano i prezzi di vendita degli articoli, riducendo così, o addirittura azzerando, i loro margini allo scopo di aumentare i fatturati (che venivano incassati contanti dai consumatori) e “rivendere” pertanto il denaro alle banche a un buon tasso di interesse, sfruttando la dilazione di pagamento che si erano fatti concedere dai fornitori, in virtù della loro posizione dominante di mercato.
Tutto legittimo, anche se discutibile.

(roberto santori)

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Pubblicato da Studio Bacigalupo Lucidi
Risposta del 1 Marzo 2016

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