Si premette che il datore di lavoro non può trasformare unilateralmente il contratto da full time a part time. L’eventuale trasformazione può essere effettuata solo se c’è accordo tra le parti risultante da atto scritto controfirmato da entrambe le parti, in quanto la variazione è una modifica del contratto inizialmente concordato che necessita di una nuova e diversa manifestazione di volontà.
Fatta questa premessa, la scelta se compensare la riduzione dello stipendio con un secondo contratto di lavoro dipendente o svolgendo la professione in regime di lavoro autonomo è influenzata da diverse componenti.
Da un punto di vista fiscale, in caso di un secondo contratto di lavoro dipendente ogni singolo datore di lavoro applicherà le aliquote Irpef sulla base del solo reddito erogato da ciascuno salvo, poi, in fase di dichiarazione dei redditi calcolare la corretta aliquota (applicabile al totale reddito percepito) ed, eventualmente, versare la differenza di imposta.
Nel caso di svolgimento della professione in regime di lavoro autonomo sarà necessario aprire la partita IVA, eventualmente adottando il regime fiscale “forfettario”. In tal caso, il reddito da lavoro autonomo è soggetto a imposta sostitutiva del 5% per i primi 5 anni e a regime del 15% (mentre l’aliquota minima applicabile ai redditi di lavoro dipendenti è attualmente il 23% con incremento per scaglioni di reddito percepito).
Da un punto di vista previdenziale, in caso di percezione di soli redditi da lavoro dipendente, si ha diritto alla riduzione della contribuzione previdenziale Enpaf (riduzione fino all’85%); tale agevolazione non si applica ai percettori di reddito da lavoro autonomo.
Da quanto sopra, emerge convenienza a scegliere un secondo contratto di lavoro dipendente da un punto di vista previdenziale e convenienza allo svolgimento della professione in regime di lavoro autonomo da un punto di vista fiscale. Scegliere una o l’altra soluzione dipende anche dal monte retributivo pattuito.