Quote società farmacia, possono essere date in pegno ad una banca?

Quote società farmacia, possono essere date in pegno ad una banca?

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Un farmacista titolare e socio maggioritario di una farmacia sotto forma di società in accomandita semplice vorrebbe dare in pegno ad una banca/finanziaria le proprie quote societarie per ottenere un finanziamento finalizzato sempre alla stretta attività della farmacia.

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Domanda del 27 Febbraio 2016
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Domanda Privata

Ricordando in primo luogo che neppure il socio “maggioritario” di una società di farmacisti può essere considerato titolare della farmacia sociale (soltanto il Min. Salute, come noto, ha affermato una cosa del genere, pur circoscrivendola alle società costituite tra i vincitori in forma associata in uno dei concorsi straordinari ora in atto), la costituzione del diritto di pegno su quote di società di persone presenta qualche aspetto critico che vedremo brevemente di illustrare, cogliendo in ogni caso soprattutto i profili salienti e fornendo qualche indicazione fosse utile per la specifica vicenda descritta nel quesito.
In principio, la possibilità di costituire un diritto di pegno su una quota di società di persone deve ritenersi ormai più o meno pacificamente ammessa.
La stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. 7 nov 2002 n. 15.605) assume infatti che “le quote sociali sia delle società di capitali che delle società di persone, costituiscono posizioni contrattuali ‘obiettivate’, suscettibili, come tali, di essere negoziate in quanto dotate di un autonomo ‘valore di scambio’ che consente di qualificarle come ‘beni giuridici’”.
Dunque, come la quota può essere venduta, allo stesso modo può formare oggetto di atti di disposizioni “minori” (ad esempio, la costituzione di un diritto reale di garanzia, come è proprio il caso del pegno) potendo la partecipazione considerarsi a ogni effetto un bene mobile.
Occorre tuttavia coniugare correttamente la costituzione di questo diritto a favore di un terzo (il creditore pignoratizio) con la disciplina delle società di persone in generale e naturalmente anche con le disposizioni specifiche in tema di farmacie.
Infatti, il pegno attribuisce al suo titolare il potere di far vendere la quota sociale (art. 2796 c.c.) e di soddisfarsi sul ricavato della vendita con preferenza rispetto agli altri creditori (art. 2787 c.c.), ovvero di ottenerne l’assegnazione in luogo del pagamento del credito garantito (art. 2798 c.c.) e – se non viene diversamente disposto – di far propri gli utili e la quota di liquidazione, imputandoli prima alle spese e agli interessi e infine al capitale (art. 2798 c.c.).
Come si vede, perciò, la costituzione del pegno implica il trasferimento a terzi di alcuni dei diritti derivanti dalla partecipazione sociale come a) il diritto agli utili e b) quello alla quota di liquidazione, ma anche l’attribuzione c) del potere di vendita coattiva della quota o d) di assegnazione della stessa.
Ora, se la cessione dei diritti sub a) e b) per il loro contenuto patrimoniale non richiederebbe in linea generale (ma l’atto costitutivo/statuto della società può in astratto disporre diversamente, anche se è dato vederlo molto raramente) il consenso degli altri soci, così non può dirsi per le facoltà sub c) e sub d), che confliggerebbero invece con il regime della trasferibilità delle quote di società di persone, costituendo una modifica dei patti sociali ammissibile soltanto con il consenso di tutti i soci (sempreché, e qui è certo più frequente, non sia convenuto altrimenti), ma fatto salvo il caso della quota del socio accomandante che – diversamente, e però sempre in assenza di una contraria disposizione statutaria – è trasmissibile per causa di morte o per atto tra vivi con il consenso della “maggioranza”.
La costituzione pertanto del diritto di pegno su una quota sociale diventa in sostanza possibile quando sia operata con le stesse modalità e gli stessi presupposti (oltre che con le necessarie tutele) inerenti al trasferimento della quota, e del resto è ragionevole che sia così perché – se fosse consentito sottoporre quest’ultima a pegno con il mero consenso del socio-debitore – si legittimerebbe l’ingresso in società di terzi, cioè degli acquirenti della quota in seguito alla vendita in sede di esecuzione forzata, quindi in violazione del principio di cui all’art. 2252 c.c., per il quale le modificazioni del contratto sociale richiedono (quel che d’altra parte inerisce a qualunque contratto) il consenso di tutti i soci. A meno che anche qui, s’intende, non sia contemplato diversamente nell’atto costitutivo/statuto.
Riassumendo, perciò, la costituzione del diritto di pegno richiede in principio – fermo quanto già chiarito in ordine alla quota del socio accomandante – il consenso di tutti i soci, salvo che lo statuto non preveda altrimenti, subordinando ad esempio (come si rileva abbastanza spesso) la cessione della quota al consenso della “maggioranza”.
In questa disciplina generale sulla società di persone va inoltre innestata, come accennato, quella speciale dettata per le società di farmacisti, che, come noto, prescrive (in attesa degli sconvolgimenti che anche qui potranno conseguire all’approvazione del ddl. Concorrenza) che la cessione della partecipazione può essere operata soltanto a favore di persone in possesso di tutti i prescritti requisiti professionali soggettivi (a parte la “sospensione” del requisito dell’idoneità fino al 31/12/2016), cosicchè anche l’eventuale cessionario della quota trasferitagli dal creditore pignoratizio, che eserciti in tal senso – ove consentitogli, come sopra detto – i diritti che gli derivano dalla costituzione del pegno a suo favore, deve essere certamente anch’egli un farmacista regolarmente iscritto all’albo e in possesso (dall’1/1/2017) dell’idoneità.
Un altro aspetto delicato della vicenda riguarda l’esercizio dei diritti sociali.
La soluzione più maneggevole è sicuramente quella della puntuale ed inequivoca individuazione nell’atto costitutivo del pegno, e con l’accordo di tutte le parti (creditore pignoratizio, socio debitore e altri soci), dei poteri spettanti al socio e al creditore pignoratizio, ma qualsiasi pattuizione deve conformarsi al principio per il quale i diritti amministrativi connessi alla titolarità della quota spettano al creditore pignoratizio nella misura in cui questi siano finalizzati alla conservazione del bene oggetto di pegno.
Se quindi spetta al creditore pignoratizio, come si è visto, il diritto agli utili sociali, per quanto riguarda invece il diritto alla liquidazione della quota sarebbe sempre di gran lunga preferibile, per parecchie ragioni anche pratiche, accordarsi per l’esercizio congiunto da parte del socio e del creditore pignoratizio, eventualmente trasferendo a quest’ultimo il diritto di pegno sulla somma così ricavata; e però non c’è dubbio che, non rientrando nel potere di gestione della quota a scopo conservativo, l’obbligo del conferimento anche in sede di aumento del capitale spetti al socio, e così anche il diritto di recesso.
Più complessa, invece, appare la questione del diritto di voto e soprattutto del potere di amministrare.
Sempre nel rispetto del principio secondo cui i “poteri amministrativi” si trasmettono al creditore pignoratizio nella misura in cui questi siano finalizzati alla conservazione del bene-quota oggetto di pegno, può comunque ragionevolmente ritenersi che l’amministrazione societaria spetti al debitore-socio e al creditore pignoratizio competano invece sia la facoltà di partecipare agli atti di amministrazione potenzialmente pregiudizievoli della propria garanzia, come anche il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e/o di consultare i documenti inerenti all’amministrazione.
Infine, l’atto di costituzione del pegno – rientrando indubitabilmente tra “gli altri fatti relativi alla società” di cui all’art. 2300 c.c. – deve essere iscritto nel registro delle imprese e conseguentemente redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Come forse a questo punto sarà chiaro, in caso di costituzione di pegno è opportuno modificare adeguatamente l’atto costitutivo/statuto della società, in modo che tenga conto di quanto ne derivi di diritto o per effetto di specifiche pattuizioni.
(gustavo bacigalupo)

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Pubblicato da Studio Bacigalupo Lucidi
Risposta del 27 Febbraio 2016

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